Uso eccessivo di Facebook? Licenziato!

L’uso abnorme di Facebook (o di altri social network) durante l’orario di lavoro, non collegato all’esecuzione della prestazione lavorativa, può costare il licenziamento.

La Corte di Cassazione Civile, con sentenza n. 3133 del 01.02.2019, ha giudicato legittimo il licenziamento di una lavoratrice – segretaria part time presso uno studio medico – che aveva utilizzato Facebook sul PC aziendale in orario di lavoro, così adottando un comportamento valutato in contrasto con l’etica comune, e violando, di conseguenza, gli obblighi di diligenza e di buona fede cui il lavoratore è chiamato nel compimento della prestazione lavorativa.

Nella fattispecie, il datore di lavoro verificava circa 6.000 accessi, di cui 4.500 solo su Facebook, nell’arco temporale di 18 mesi. Le durate degli accessi erano a volte significative, evidenziando pertanto la gravità del comportamento della lavoratrice. Quest’ultima impugnava il licenziamento, ritenuto ritorsivo o discriminatorio, in quanto avvenuto (a suo dire) dopo la richiesta di fruizione dei permessi ex lege n. 104/1992. Sosteneva, inoltre, la lavoratrice che il datore di lavoro avesse violato le disposizioni sulla privacy in occasione del controllo effettuato sul PC aziendale.

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito, anzitutto, che il datore di lavoro non abbia violato in alcun modo le norme sulla privacy nel raccogliere i dati degli accessi sui social network. Di fatti, il prelievo delle informazioni era stato effettuato in maniera non invasiva, ovvero senza entrare nel merito dei contenuti della “navigazione in internet” ma solo conteggiando gli accessi attraverso la “cronologia”.

Inoltre, accedendosi al profilo Facebook per il tramite di username e password, alcun dubbio sorge sulla proprietà dell’account e, di conseguenza, sugli accessi eseguiti. La lavoratrice stessa, peraltro, non negava di aver effettuato, durante l’orario di lavoro, uso di social network e di Facebook in particolare. Secondo gli Ermellini, infine, alla luce del complesso delle circostanze di fatto emerse, la presentazione della domanda ex lege n. 104/1992 da parte della dipendente non costituiva motivo esclusivo del recesso datoriale.